La scomparsa
dei Partiti
Non è
che i Partiti politici siano proprio scomparsi, anzi, mai come oggi se ne
avverte la presenza anche nel più piccolo scranno di potere del più sperduto
paesello dello stivale; a scomparire sono state le ideologie, i valori e le passioni
che caratterizzavano le diverse formazioni politiche.
I
partiti delle origini si distinguevano per una visione del mondo
sostanzialmente antitetica, condividendo a volte solo il rispetto dei principi
basilari della Repubblica Democratica fondata all'indomani del disastro bellico
e del ventennio fascista.
I
riferimenti erano netti e contrapposti, radicati, anche dal punto di vista geografico,
agli antipodi, l’occidente inteso come Stati Uniti d’America e il blocco
Sovietico della grande madre Russia. La Democrazia Cristiana, in decenni di
gestione ininterrotta della cosa pubblica, aveva imposto l’adesione al mondo
occidentale di ispirazione Americana, ma con la classica indolenza e disincanto
italiani, senza crederci davvero fino in fondo, ma solo adeguandosi per
opportunità e convenienza.
L’azione
di un Governo, e questo è vero oggi più che mai, si caratterizza principalmente
per le scelte che fa in campo di politica economica. I Governi democristiani,
pur con consistenti concessioni, non si erano mai davvero piegati alle logiche
liberiste Americane, per quanto queste, a quei tempi, fossero ancora soft
rispetto ad oggi, mantenendo una politica economica tipicamente italiana e
decisamente socialdemocratica. Per quanto fosse criticabile e via via sempre
più corrotta, quella classe politica consentì all’Italia di diventare la
settima potenza industriale del pianeta pur partendo dal deserto economico del
dopoguerra.
L’obiettivo
dei partiti e della politica, nonostante
la contrapposizione ideologica profonda, era intimamente radicato entro i nostri
confini, pensato per i cittadini italiani, condizionato, ma non soggiogato
dalle influenze straniere di qualsivoglia provenienza, sia in ambito
democristiano che in quello comunista o di sinistra.
Ma tutto
questo non esiste più! Manca infatti il dato discriminante più forte: la
differenziazione sostanziale tra le politiche economiche della destra attuale e
della sinistra. Essa rimane solo negli slogan televisivi che svaporano
immediatamente allo spegnersi dei riflettori, mentre gli attori del contenzioso
appena trasmesso escono a braccetto dagli studi televisivi per banchettare alla
stessa tavola, pur disprezzandosi profondamente.
Se un
governo e una linea politica si caratterizza soprattutto per le scelte di
carattere economico, quale differenza c’è tra un ‘Tremontismo’ di stampo berlusconiano e un ‘Montismo’, reazionario e filoeuropeo, ringiovanito, per
sopravvivere al malcontento, con iniezioni del giovane Letta e infine
trionfante, ma nient’affatto cambiato nella sostanza, con il nuovo corso rappresentato
dal Renzi d’assalto? Sempre di politiche neoliberiste si tratta, di taglio alla
spesa pubblica e all’intervento dello Stato, ovvero di politiche recessive più o meno accelerate, di
privatizzazioni continue e costanti e di regalie alle lobby, che ormai la fanno
da padrone in Parlamento e, fatto ancora più grave, di supina accettazione di
imposizioni di poteri e istituzioni stranieri, nel nome di una utopica e
impossibile costruzione degli Stati Uniti d’Europa.
Diceva
Enrico Berlinguer poco prima
della sua scomparsa:
"Politica
si faceva nel '45, nel '48 e ancora negli anni Cinquanta e sin verso la fine
degli anni Sessanta. Grandi dibattiti, grandi scontri di idee e, certo, anche
di interessi corposi, ma illuminati da prospettive chiare, anche se diverse, e
dal proposito di assicurare il bene comune. Che passione c'era allora, quanto
entusiasmo, quante rabbie sacrosante! Soprattutto c'era lo sforzo di capire la
realtà del paese e di interpretarla. E tra avversari ci si stimava."
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