Un Extraterrestre a Roma
A seconda degli stati d’animo e delle necessità l’Essere poteva manifestarsi come una sfera luminosa, una sagoma appena palpabile, dai contorni indefiniti o, se lo desiderava, solidificarsi in una forma materiale assumendo l’aspetto che più desiderava.
Superato il grande raccordo, a quell'ora della notte
quasi deserto, si inoltrò nella periferia della grande città, Roma, obiettivo
della sua missione. Dopo molti anni di
ricerche, condotte scandagliando gli enormi spazi siderali dell’Universo, era
stato individuato, nascosto nelle profonde spirali della Via Lattea, un
minuscolo pianeta abitato da organismi abbastanza evoluti da meritare, forse,
di essere accolti nell'intelligenza collettiva che da secoli si stava
aggregando ed espandendo tra le galassie e di cui l’Essere era una parte e il
tutto al tempo stesso. La zona di atterraggio era stata scelta attentamente e
corrispondeva al luogo, sulla terra, dove le testimonianze dell’evoluzione
dell’intelligenza umana erano più abbondanti, Roma. Mentre procedeva verso il
centro della città l’Essere ammirava compiaciuto le strade e i palazzi che
mostravano, passo dopo passo, i progressi compiuti dalla civiltà di quel pianeta.
Monumenti, chiese, palazzi, statue confermavano le informazioni raccolte e l’opportunità
di procedere a un’indagine più approfondita sugli abitanti del pianeta azzurro.
L’alba iniziava a rischiarare il cielo e le strade a popolarsi; l’Essere
ritenne opportuno, per non dare nell'occhio, assumere l’aspetto di un umano
maschio di mezza età. Doveva entrare in contatto con gli individui di quella
specie e prospettargli la svolta epocale, un nuovo stadio evolutivo: la fusione
delle specie umana con l’intelligenza universale di cui egli era parte e tutto.
Questo passaggio avrebbe donato all'umanità la beatitudine eterna,
l’immortalità, l’annullamento del dolore e della sofferenza per accedere ad un
livello di vita superiore, diventando parte di un organismo universale pur
mantenendo la propria individualità. La sua missione richiedeva molta cautela: era
necessario dare l’annuncio prima agli individui migliori, i più influenti di
quella specie, affinché fungessero da guida per tutti gli altri. Entrò in un
locale che sull'ingresso recava la scritta luminosa “Bar” e dove, a quell'ora,
si erano radunati numerosi umani intenti a bere una bevanda scura e mangiare strane
pagnotte a due corni, morbide e dal profumo delizioso. Anche nell'alimentazione
si intravedeva l’avanzato stadio evolutivo di quella razza. L’Essere si
avvicinò a uno degli umani appoggiato ad un alto bancone, intento a mangiare e
con un sorriso, com'era consuetudine tra i suoi simili, abituati a convivere
nella coscienza collettiva, gli chiese di condividere il pasto. L’umano lo
guardò con gli occhi sgranati tirando indietro la pagnotta e dicendo;
- Aoh, ma pé chi ma’ preso? Pe’ Babbo Natale?
L’Essere non capì perché l’umano gli rifiutava la
condivisione del pasto. La solidarietà, l’ospitalità, la comunione dei beni e
la gentilezza verso i propri simili erano caratteristiche ben radicate nelle
specie giunte ad un alto livello evolutivo.
Pensò di avere infranto qualche tradizione o regola
di comportamento terrestri e pertanto, mostrando un sorriso ancora più luminoso,
spiegò che egli non era del posto, era straniero e da poco arrivato in città,
non aveva nulla da mangiare ne un ricovero dove dormire e si rivolgeva perciò
agli abitanti del posto affinché gli offrissero ospitalità, un giaciglio per la
notte e cibo per i giorni che avrebbe trascorso in loro compagnia.
Questa volta il fenomeno degli occhi sgranati si
diffuse a tutti gli umani presenti nel locale chiamato Bar e subito dopo, tutti
insieme, iniziarono a ridere fragorosamente.
Di nuovo l’uomo al bancone lo apostrofò con parole
che non si aspettava;
- Anvedi questo! Chi ssei? Sei extracomunitario? Sei clandestino? T’ho
sgamato! Perché invece de venì quà a rompe li cojoni nun ve ne restate a
casetta vostra? Che ve credete? Solo pecché
hai attraversato er mare su nà bagnarola noi te dovemo dà da magnà e magari te
dovemo pure dà ‘n lavoro?
L’Alieno tentò di decifrare il significato delle
parole che l’umano gli rivolgeva con atteggiamento bellicoso. Invero egli aveva
attraversato il mare dello spazio profondo ma non riusciva a capire perché gli
si negasse la dovuta ospitalità e lo si offendesse, accusandolo addirittura di cercare
un lavoro.
- Perché mai, mio buon signore, oltre all'ospitalità che mi spetta dovrei
anche desiderare un lavoro?
- Aoh ma stai a fa’ ‘r vago? Hai capito questo! Nun solo vole magnà
a sbafo ma nun glie và manco de lavorà. E che te credi che quà stamo a pettinà ‘e bambole?
L’Alieno rimase stupito. Tornò a guardare fuori dal
locale, ammirò la magnifica fontana proprio di fronte l’ingresso del Bar e ci
vide i segni inequivocabili di una civiltà superiore. Una tale civiltà, per
essere arrivata a costruire tali magnificenze, aveva certamente sviluppato
sensibilità e tecnologia tali da non avere più alcun bisogno di lavorare. La
sua specie, ormai da secoli, soddisfaceva i bisogni materiali con processi
completamente automatizzati e aveva creato le condizioni affinché le
intelligenze potessero fondersi e godere della bellezza della vita e
dell’universo. Tornato verso l’uomo al bancone domandò con stupore;
- Come possono uomini di tale ingegno, da realizzare manufatti belli come
la fontana che vedo proprio qui davanti, pensare di sprecare il loro tempo
lavorando. Lei conosce chi ha realizzato questo superbo manufatto? Forse è a
lui che devo rivolgermi?
- Me stai a pijà pe culo? E io che cazzo ne sò chi l’ha fatta sta robba.
Sarà morto da n’pezzo. So cose vecchie quelle, nun le fa più nessuno.
Questa volta fu l’Alieno a sgranare gli occhi. Come poteva
essere che le opere d’arte, i palazzi, i manufatti pregevolissimi non li faceva
più nessuno.
Sicuramente aveva avuto la sventura di imbattersi in
alcuni esponenti meno evoluti della specie, individui con menti ancora
primitive;
- Sarebbe possibile parlare con i vostri capi? Ho bisogno di conferire
con loro urgentemente.
- Boni quelli? Stanno qua dietro, s’o n’quattati a Montecitorio, o’ riconosci
pecchè davanti c’è stà ‘n sacco de gente in divisa e co l’armi spianate.
- Armati? Perché, ancora usate le armi?
- E certo, mica quelli der Governo sò scemi! Se nun c’avevano gli sbirri
armati a difennerli sai che culo gl’avevamo fatto!
- Perché? I vostri capi, coloro che vi guidano, hanno bisogno di essere difesi
? E da chi?
- Come da chi? Dai cittadini e da chi sennò? Quelli sò na manica de
zozzi: s’abbuffeno, se fanno l’affaracci loro e a noi ciò mettono sempre ‘nquer
posto. Tu forse sei extracomunitario e nu lo sai ma pe noi è sempre come
scivolà su un tappeto de cazzi; ndo cadi cadi lo pij ar culo.
- Scusi ma i vostri capi non fanno il bene del popolo che governano? Non
è loro preciso dovere morale farlo? E soprattutto, perché li fate comandare se
non fanno il bene della specie?
- Si vabbè! Ma tu ‘ndò vivi? Apparecchia il culo per due che porto
‘n’amico! Ma l’hai capito o no che quelli se sò magnati tutto e a noi ce raccontano
che c’è a crisi, che nun ce sò sordi e che dovemo dà risparmià! E noi nun famo
niente, li lassamo fà, quà c’hai raggione Clandestino mio, il fatto è che semo de
gran fregnoni e poi, pe dilla tutta, se ce fossimo noi al posto loro ce metteremmo
a magnà pure noi, semo fatti così! Nun c’è gniente da fà!
- Io non capisco, la vostra specie ha fatto i monumenti, le statue, i
palazzi, non è possibile che vi siate ridotti in questo modo.
- E daje, quella è robba vecchia, t’ho detto! E poi ormai i monumenti, i
palazzi, si sò vennuti tutti pè abbassà
er debbito pubblico, dicono loro, ma a verità e che se sò messi d’accordo co
n’altra manica de delinquenti fori dal’Italia pe fregasse tutto.
- Vuole dire che i vostri capi complottano contro i loro stessi simili
per accaparrarsi le ricchezze del paese?
- Aoh, e sì le cose nun le sai …salle! T’ho detto che se sò ‘nventati a
crisi, insieme a quel’artri amici loro in Europa che sò comunitari ma sò Zozzi e
no Extra com’a te. Cò a crisi se sò pigliati tutto e noi, che nun c’avemo più
un cazzo, se volemo magnà dovemo lavorà, più de prima e cò metà de sordi de
prima. L’hai capita mò?
L’Alieno uscì dal Bar sconvolto e dovette far
ricorso all'aiuto delle milioni di coscienze che contemporaneamente facevano
parte di se e come lui avevano appena vissuto un’esperienza inaspettata e
traumatica. Si erano sbagliati! Anni di ricerca che sembravano fossero stati
coronati da un grande successo si rivelavano invece un sonoro fallimento. Per
la prima volta nella storia dell’universo una specie, progredita fino a
raggiungere un superiore stadio evolutivo, evidenziato dalla magnificenza delle
arti, dal benessere diffuso, dalla tecnologia, con la felicità ormai alla
portata di tutti aveva, contro ogni previsione, subito una terribile
regressione. Invece di usare la tecnologia per liberare l’essere umano dalla
schiavitù del lavoro, la usava per sottometterlo. Anziché creare un mondo
ideale dove tutti potessero vivere felici e in armonia, coltivare le arti e la
cultura, la solidarietà e la bellezza si erano consegnati inspiegabilmente alla
barbarie. I loro capi, evidentemente regrediti insieme alla maggioranza della
popolazione, vendevano la ricchezza e le bellezze del loro stesso paese in
cambio di effimeri privilegi personali pronti a usare le armi per tenere a bada
i loro simili derubati.
Mentre tornava alla sua
astronave l’Essere era triste e abbattuto.
Comprendeva con disappunto che gli umani
stavano tornando primitivi e non erano certo all'altezza di entrare a
far parte dell’intelligenza collettiva che pulsava dentro e fuori di lui e che lo
avvolgeva nell'eterna beatitudine. Senza un rumore, proprio come era arrivata,
l’astronave decollò, sparendo velocissima nello spazio profondo.
Nessun commento:
Posta un commento