mercoledì 6 febbraio 2013


Capitolo 2 - Gli Illuministi

Passarono molti giorni e la vita nel regno sembrava tornata a scorrere felice e tranquilla. Il sole scaldava ancora le pareti del castello ma nell’aria si avvertivano i primi sentori dell’inverno pronto ad avvolgere, nelle sue spire gelide, il mondo tutto intorno.
Il fumo proveniente dalle tazze ricolme di tè appariva denso e compatto al chiarore della tenue luce del mattino. Il Principe e il Gran Ciambellano seduti nella terrazza del castello, sorseggiavano la bevanda in silenzio, sullo sfondo delle colline biancheggianti di brina notturna, resistente ai tiepidi raggi del sole autunnale;
-          A volte, caro amico, temo di averle concesso troppa autonomia in questi anni.
-          Perché mi fa notare questo Signore?
Il Gran Ciambellano non si scompose, era abituato alle provocazioni del Principe.
-          Mi giungono voci di disordini e proteste non ancora sedate e mi chiedevo chi ne fosse responsabile?
-          Abbia pazienza Signore, sono ancora quei ragazzi. Gli Illuministi. Sono giovani e irrequieti.
-          Ma non li avevamo uccisi tutti?
-          Sì Padrone, ma prima di morire avevano messo in giro degli scritti.  Qualcuno li avrà letti e adesso gli Illuministi sono più di prima!
-          Lo dicevo io che insegnare ai giovani a leggere e scrivere era un errore. Si ricordi, Gran Ciambellano, l’istruzione è un lusso, dovrebbe essere concessa solo a chi se la può permettere.
Ai sudditi porta solo dolore e inutili preoccupazioni.
-          Ne convengo Padrone.
-          E lo credo! Adesso ci toccherà ucciderne molti di più.
-          Mi spiace che la cosa la rattristi Padrone.
-           Certo che mi rattrista, si tratta di manodopera specializzata! Ha idea di quanto mi costerà doverla rimpiazzare?
Il Gran Ciambellano uscì dall’incontro pensieroso. Ancora una volta il suo ufficio lo obbligava ad accollarsi il peso di compiti oltremodo sgradevoli. Non che avesse problemi a mandare a morte quei facinorosi, ma lo indispettiva doverlo fare a causa della loro stupidità. Se fossero stati spinti dall’ambizione di arricchirsi, piuttosto che dalla lussuria, o meglio, com’era più naturale, dalla sete di potere, lo avrebbe capito, ma farsi ammazzare per l’assurda pretesa di credersi uguali al Principe, di essere liberi e indipendenti, non riusciva a concepirlo. Era contro natura.
Inoltre aveva la sensazione che quello fosse solo l’inizio. Non fu sorpreso, infatti, tempo dopo, di essere nuovamente convocato d’urgenza, a riferire della situazione dell’ordine pubblico divenuta ormai insostenibile.
Arrivò al calar della notte. Il castello appariva lugubre e silenzioso. Le stanze del Principe erano le uniche illuminate. Il viso del nobiluomo era turbato e la sua espressione non mutò quando vide il Gran Ciambellano vestito con corazza, spada ed elmo invece dei tradizionali e comodi abiti di sartoria;
-          Allora? Gran Ciambellano, perché non si riesce più a governare in pace questo paese? Ho notizie di tumulti in tutto il regno. Che cosa stiamo facendo? Non ne abbiamo ammazzati abbastanza?
-          Se è per quello, Padrone, abbiamo assunto due aiutanti al boia. Lavorano ventiquattro ore su ventiquattro, sabato e domenica compresi, per smaltire tutto il lavoro arretrato.
-          E allora? Perché non siete ancora riusciti a ristabilire l’ordine?
-          Vede Padrone, per uno che ne uccidiamo altri due prendono il suo posto. Sembrano non finire mai e non c’è modo di farli desistere.
-          Ma come è possibile?
-          La gente è esasperata Padrone, ha fame!
-          E quale sarebbe la novità? Il Popolo ha sempre avuto fame. Se ha fame, lavora meglio e non si lamenta della fatica. S’immagini se quelli lavorerebbero a stomaco pieno!
-          Certo Padrone, ma adesso credono in queste nuove idee. Siccome sono loro a lavorare, vogliono che il raccolto, prima di essere conferito ai vostri magazzini, debba essere usato per sfamare il Popolo. Sono convinti che tutti gli uomini siano uguali e abbiano uguali diritti. Sono pronti a morire per questo!
-          Bene allora, accontentiamoli. Li faccia passare tutti per le armi!
-          Io vorrei Padrone, mi creda, ma quelli adesso hanno imbracciato i forconi e stanno macellando le guardie che avevamo mandato ad arrestarli.
-          Davvero?
-          Sì Padrone e credo che sia meglio, per la sua incolumità, scappare e nascondersi, prima che riescano a entrare a palazzo.
Per fortuna il Gran Ciambellano era un uomo previdente e prima di recarsi al castello aveva minuziosamente preparato un piano di fuga per il Principe e ovviamente per sé. La situazione, ormai sfuggita di mano, non offriva alternative se non quella di nascondersi e aspettare tempi migliori.
Si rifugiarono in una delle numerose residenze del Principe, una villa favolosa in cima a una scogliera a picco sul mare. Nessuno conosceva l’identità del vero proprietario. Si credeva appartenesse a un’antica famiglia di nobili decaduti. Lì nessuno sarebbe andato a cercarli e avrebbero avuto il tempo di esaminare la situazione e studiare il modo per venirne fuori.

Rilancio uno splendido e profondo articolo di Stefano Di Cori Modigliani sulla vicenda dell'Argentina e sullo scontro con il FMI evidenziato dalle dure prese di posizione di due Christine la Kirchner "Presidenta" dell'Argentina e la Lagarde a capo del Fondo Monetariop Internazionale.
http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2013/02/berlusconi-e-la-spagna-affondano.html

sabato 2 febbraio 2013


Capitolo 1 "Il Principe"



C’era una volta, tanto tempo fa, un Principe che viveva in un magnifico castello costruito su una collina ai margini di un grande lago. Dalle finestre si poteva ammirare la vallata lussureggiante tutto intorno, estesa fino a confondersi in lontananza con la linea frastagliata dell’orizzonte.
Il Principe, ai pochi sudditi cui era concesso il privilegio di vederlo, appariva sempre giovane e bello, come nei primi anni del regno. Amava indossare abiti informali, discreti, forse inadeguati al suo rango, tuniche di pura seta coperte da mantelli ornati di zibellino e fregi in oro zecchino, sul capo una semplice corona tempestata di smeraldi.
Non tollerava l’inutile ostentazione.
Regnava su tutte le terre che andavano dalle montagne fino al mare. Tutte le case, i poderi, ogni cosa, fino a perdita d’occhio, erano sue. Aveva potere di vita e di morte sui sudditi e, magnanimo, gli concedeva di vivere dignitosamente, donandogli il cinque per cento dei frutti del loro lavoro. Pensate, ogni suddito lavorava non meno di quindici ore al giorno tutti i giorni della settimana e, se godeva di buona salute ed evitava di morire troppo giovane, aveva di che mantenere dignitosamente la propria famiglia. Anche ai fanciulli, del resto, concedeva di lavorare fin da piccoli, e  per ricompensa tutte le sere li aspettava un ricco piatto di minestra calda e un tozzo di pane. Un difetto del Principe era senz’altro l’innata bontà d’animo verso i sudditi.  Con riluttanza li mandava a morte quando, uno o due volte l’anno, era tradizione impiccarne qualcuno con un pretesto, solo per ricordare a tutti chi fosse il Padrone.
La vita nel castello scorreva tranquilla. A volte esaltante, in occasione delle feste e dei balli sfarzosi, altre noiosa, quando gli impegni di governo si facevano pressanti. Il Principe si era sposato, ancora adolescente, con una giovinetta di buona famiglia entrata nelle grazie dei suoi genitori. Ella, per combinazione, era anche la figlia primogenita della più ricca famiglia di imprenditori del regno, attivi in molti campi ma sopratutto in quello dell’acciaio e delle materie prime.
Il matrimonio era stato allietato dalla nascita di due figli, un maschio e una femmina, divenuti da subito, al di là delle ricchezze e del potere, il vero tesoro di mamma e papà.
Col passare del tempo e i sopraggiunti impegni di governo, all’indomani della scomparsa del padre, il Principe non poteva concedere molto tempo alla consorte e alla prole. Gran parte della giornata doveva dedicarla a noiose faccende amministrative  in compagnia del suo collaboratore più fidato, il Gran Ciambellano.
Costui proveniva da una modesta famiglia di contabili e si era costruito una luminosa carriera grazie alla brillante intelligenza, all’enorme preparazione e all’assoluta fedeltà al suo Signore e Padrone. 
In breve era divenuto il consigliere più influente, distinguendosi per astuzia e ingegno. A lui il Principe riservava attenzioni particolari e ne ascoltava sempre le opinioni e i suggerimenti, affidandogli i compiti più delicati e riservati.
Una mattina di primavera il Principe e il Gran Ciambellano si trovavano, come accadeva spesso, sulla terrazza principale del castello. Da lì si potevano ammirare il lago, dalla superficie specchiata, su cui si riflettevano le chiome degli alberi, le colline, dai colori cangianti secondo i capricci del sole, il fiume, illuminato dai riflessi argentati, che attraversava con movimenti sinuosi la vallata.
Il maggiordomo stava servendo il tè mentre il sole scaldava, con i primi, delicati raggi del mattino, le pareti del castello;
-          Mi dica Gran Ciambellano, mio fedele amico, perché tarda a riferirmi dei disordini scoppiati in alcune città del regno?
-          Maestà, sono piccolezze. Non volevo turbarla con spiacevoli problemucci di ordine pubblico.
-          Questo lo lasci giudicare a me e mi dica tutto quello che sa!
-          Nulla Padrone, solo un gruppo di ragazzi che fanno baldoria. Hanno scoperto di essere capaci di pensare!
-          Davvero? Sono certi di sentirsi bene?
-          Sì, Signore! Dicono di avere avuto un’illuminazione e perciò si fanno chiamare “Illuministi”!
-          Illuministi? Bel nome mi piace. Dà l’idea della luce, della pulizia. E cosa dicono? Che bisogno hanno di fare tanto chiasso?
-          Dicono che tutti gli uomini nascono uguali, liberi e con gli stessi diritti. Sono molto entusiasti di questa scoperta, perciò creano tanto scompiglio.
-          Divertente; è tipico dei giovani sognare le cose più assurde.
Commentò sorridendo il Principe;
-          Infatti, Signore. Cosa vuole che faccia?
-          Li faccia uccidere tutti! Potrebbero crederci sul serio a queste fantasie e finire per farsi del male!
-          Bene Padrone sarà fatto.
Il Principe apprezzava molto la capacità del Gran Ciambellano di adeguarsi istantaneamente ai suoi desideri, qualunque fosse stata la sua opinione fino a quel momento. Del resto, il fedele suddito, non aveva ragione alcuna per contraddire il suo Signore. Un Padrone si sceglie e si ama per sempre. Perlomeno fino a quando non si decide di servirne un altro, ma con la stessa identica dedizione e fedeltà.
Il Principe delle  Monete

A partire da oggi pubblico i capitoli del libro:

 "Il Principe delle Monete - Una favola per adulti" ovvero " La Crisi Economica spiegata al cittadino che nulla sa di economia e Finanza e il ruolo Nefasto giocato dall'Unione Europea, dall'Euro e dal Professore".

Il Principe delle Monete” è una favola raccontata agli adulti e spiega in modo allegorico, ironico e a tratti comico, il funzionamento del sistema economico moderno, svelando il carattere arbitrario e pianificato dell’attuale crisi e il ruolo cruciale giocato dall’Euro e dall’Unione Europea.
Disponibile come e-book su Amazon.it

L’opera trae spunto dalle teorie economiche di John Maynard Keynes evolutesi oggi nella Modern Monetary Theory di Warren Mosler, Randall Wray, Stephanie Kelton e William Black.
Molti intuiscono qualcosa che non quadra nel mondo, non riesce a spiegarsi cosa ma lo avverte, in quello che i Media ci raccontano della crisi e del suo essere ineluttabile.
“Il Re è nudo” grida il bambino della favola di Andersen e tutti improvvisamente aprono gli occhi accorgendosi che il Potere, incarnato dalla figura del Re, è tanto radicato e pervasivo da permettersi di girare nudo per le strade, sicuro della cecità dei sudditi, suggestionati, incapaci di vedere la realtà con lo sguardo innocente del bambino.